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Lezioni di chimica serie tv

Si fa presto a dire chimica, quelle che sciorina con garbo e classe Elizabeth Zolt, la protagonista, una impeccabile Brie Larson che se il digital world odierno un tempo celluloide andasse come deve andare, in un laboratorio e non nel caotico agone delle relazioni umane, con quell’algido vitino, sarebbe stata perfetta per interpretare la figa di legno ante litteram Barbie al posto dell’esuberante manza austrialana, sono vere e proprie lezioni di vita, intendendosi qui non solo la meccanica celeste che sottende al nostro agire nel mondo ma proprio l’attitudine che sempre inseguiamo per fare di una miserrima esistenza, al di là degli accidenti particolari, un esempio prima che per gli altri proprio per noi stessi: con Hitchcock siamo sempre uomini e donne che vivono due volte, la prima naturale, l’altra alla ricerca costante di un significato che interpreti l’ideale al quale aspiriamo, al contempo scrittori, protagonisti, editor e lettori di noi stessi.

Catapultata per destino nell’America degli anni Cinquanta, la nostra infatti si troverebbe ad agire in un contesto che oggi, a posteriori, si definirebbe per conformismo dominato dal “patriarcato”, magica parolina con la quale i media mandano il cervello all’ammasso, se non in pappa visto che Elizabeth respinta dall’ambiente della ricerca si ritrova, sempre fedele a una certa idea si sé, a incespicare nelle circostanze impreviste dettate prima dall’amore, poi dall’essere madre single e infine eletta videostar di un programma di cucina per casalinghe d’antan dedite a sodddisfare le voglie culinarie dei mariti lavoratori, per se stesse quindi ma nell’ottica sempre di piacere a loro, prima molto prima che il Capitale scoprisse nella voglia di rivalsa femminile il giusto mezzo per sbarazzarsi degli uomini refrattari alle logiche patriarcali, sostituendoli in toto, perché consapevoli dell’inganno che la parola maschio nasconde: quello di mascherare i rapporti di potere che se ne fottono del genere, mirano solo a perpetuare l’eterno dominio di una classe sull’altra, e a implementare i margini di guadagno, soprattutto quando si ripercuotono sull’ignoranza coltivata in laboratorio delle masse, alle quali è dura far comprendere che la verità, come la penicillina, non è un’invenzione – come sottolinea Elizabeth all’interlocutore in errore con quel tanto di sprezzatura che oggi ti rinfaccerebbero come mancanza di umiltà nel brodo primordiale dove a ognuno è concesso di dire la sua soprattutto a sproposito perchè uno vale uno come nella sopravvalutata democrazia da esportazione – ma la scoperta di un qualcosa che era già presente solo in attesa d’essere svelato. Che per farla breve non è altro che la rivelazione di ciò che sottostà al nostro agire, quella misteriosa relazione tra ciò che siamo e il mondo che ci circonda, nient’altro che atomi laddove chimica e filosofia si danno la mano, partecipando insieme a una comune evoluzione in un progredire che avrà un senso solo a cose compiute. 

Alla domanda “Cosa c’entra tutto questo con la chimica?”, Elizabeth approdata infine – lungo il clinamen sul quale è scivolata nella sua particolare esistenza di lotta e di lutti – all’insegnamento può rispondere: “Tutto”. L’unica variabile costante in una reazione chimica è il cambiamento e l’accettazione dell’incertezza, ciò che apparentemente potrebbe significare una resa, alle circostanze e all’idea che abbiamo di noi stessi, conduce invece a una serena accettazione foriera di sviluppi inaspettati. Che si faccia il giochino di Dickens, ci si immerga nella frattura di Benjamin tra storia reale e simbolica, laddove gli eventi sono sempre ciò che “sarà stato” il loro significato, o si scopra come prolifico ciò che è esplicito nel pensiero di Hegel: non possiamo capire qualcosa se non dopo averlo vissuto. Mentre viviamo la verità ci è preclusa, per quanto come la penicillina sia sempre stata qui, per questo dobbiamo imparare a convivere con una certa dose di insicurezza e ad avere fiducia nelle nostre intuizioni: arriverà il momento in cui capiremo tutto ciò che c’era da capire, se era giusto o sbagliato, ogni evento troverà il posto che gli spetta, anche se questo significa vivere la vita di Willy il Coyote che continua a camminare “un passo dopo l’altro” anche quando ormai c’è solo il vuoto sotto di lui.

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