Tutti i fatti e i personaggi descritti in questo film sono reali. È scritto in esergo, bello grande all’inizio del film. E quindi? Gli avvenimenti narrati sono indiscutibili e le persone esattamente com’erano? Quel che accadrà sarà la storia, senza interpretazioni e manipolazioni? Così come andò? Davvero? Ma allora perché, tra i tanti quesiti, si parla di personaggi? Non furono allora uomini e donne? E gli attori chi interpretano: i personaggi del film di Polański o quelli del libro di Robert Harris da cui il film è ispirato? E allora qua si fa la storia, e quindi la stessa non è reale affatto, o se ne dà piuttosto, e come sempre sullo schermo, dalla caverna al cinema, la propria versione? Così se Dreyfus urla la sua innocenza inneggiando alla Francia (ma cos’è una nazione privata dei suoi valori e financo dell’esercito che li difende?), e la medesima Francia lo manda al Diavolo, virato seppia, altrove si banchetta sull’erba, tableau vivant alla Manet senza la nuda verità della giunonica moglie del regista che ci sarebbe stata invece a pennello, come una Parietti almeno in un’inquadratura dal drone dei Manetti Brothers.
L’antisemitismo è già diffuso ma non se ne dà ragione (forse perché a precisare che ad avercela con gli ebrei è pure Bertillon si rischierebbe l’accusa di complotto) e il nuovo capo dei servizi segreti, altrimenti detto di statistica (che ironia ai tempi del Covid quando i potenti spiegano alle masse le presunte pandemie con curve e indici di contagio!), pur di parte, si professa immune da ogni influenza. Si troverà a fare un corso accelerato di spionaggio, tra il secco e il vapore, e la classica ventosa al muro, fingendosi stupito di quanto sia labile la parete tra il privato e la vita degli altri, molto prima che si affidassero i propri data, e gran parte delle proprie inutili esistenze, alle Cinque ingorde Sorelle invece che alla domestica infingarda che fruga nei cestini: perché tanto dispendio di forze in campo – apri la busta, chiudi la busta – quando pure per accedere alla corrispondenza del capo dei Servizi basta entrare nel suo appartamento come un ladro qualsiasi? La lettera galeotta non sarà volée ma incerottata è però sempre stata appesa al muro, ricomposta peggio di certi collage con i ritagli dei giornali come si facevano da ragazzini nei carbonari anni settanta: è un borderau contenente segreti militari nemmeno un borderò con cifre a sei zeri, che tempi signora mia! Se ne accorgerà l’integerrimo Piquard, antisemita ma con la barra dritta e l’amante nel letto, nel profluvio di baffi finti, pagliette, cilindri, ventagli, velette, carrozze e cavalli, mancano solo i giornali con i buchi, e improvvisate prostitute che recitano da spia facendo non precisati giochini con le Quattro Dita. Dujardin si rammenterà d’esser stato Hubert Bonisseur de La Bath e dopo due passi di can can e una svolta gay, la sceneggiatura prenderà un abbrivio meno serioso verso un epilogo da comica finale con sonatine da pianista, melò, duelli celentaneschi e repentine fughe tra gli arbusti, preceduto da foto dagli abbaini senza zoom, analisi grafologiche, lenti d’ingrandimento, ufficiali senza cuore con segreti che nemmeno il loro chepì deve sapere e l’inevitabile legal thriller mentre Piquard viene allontanato ma la prende con suprema nonchalance: “Mi dedicherò alla lettura” annuncia serafico preparando il viaggio verso le sue prigioni.
Zola farà nomi e cognomi e così invece d’essere ritrovato cadavere come Pasolini o irriso ai nostri giorni come Agamben sarà preso talmente sul serio da essere costretto alla fuga, ma la verità è in marcia, e il secolo della cianfrusaglia pensa di volgere al termine. Sarà invece fulgido esempio per gli estensori delle fake news. Non ci sono più nemmeno i personaggi, chiosava l’inviato del Corriere. Ma se l’Apollo del Louvre è la copia romana dell’originale perduto, e perciò non è un falso, di chi era copia l’Apollo? Saranno veramente reali i personaggi? Chi ha scritto la storia? O la sceneggiatura a tema nasconde altre privatissime vicende?